Il quadro normativo attuale è quello dettato dai DPCM dell’ 8, del 9, dell’11 e del 22 marzo 2020. Ad oggi possiamo dare per assodato che gli spostamenti sono consentiti solo in casi di estrema necessità, di salute o di comprovate esigenze lavorative.
Per quanto riguarda specificatamente gli agenti di commercio, è necessario vedere quale sia il settore di riferimento in cui gli stessi operano. Non esiste, infatti, una precisa indicazione per questa professione nei decreti: i codici Ateco che si riferiscono agli agenti di commercio non compaiono.
Come possiamo interpretare l’ultimo Decreto pubblicato in data 22 marzo relativamente agli spostamenti e alla lista delle attività lavorative consentite? Cosa succede se le forze di polizia ci fermano? Cosa va fatto se ci contestano il motivo dello spostamento?
In diretta alle 13:05 risponde l’avvocato penalista Valerio Colapaoli.
Il riassunto della puntata:
Secondo la nostra interpretazione del Decreto, gli spostamenti degli agenti di commercio vanno valutati alla luce della loro concreta attività. Quindi se lo spostamento per lavoro è giustificato da una necessità che non è possibile soddisfare diversamente e il settore di riferimento è di quelli “aperti”, lo spostamento sarà lecito.
Ad esempio: un agente del settore alimentare NON può spostarsi per “cercare di vendere” e quindi per trovare nuovi clienti. Può spostarsi dalla sua residenza al luogo in cui c’è quel determinato cliente che ha bisogno di essere rifornito e non è possibile effettuare l’ordine a distanza.
Se l’agente viene fermato sarà tenuto a giustificare – come tutti del resto – il perché si trova in strada e quindi ogni documentazione idonea a comprovare la sussistenza dell’esigenza è sicuramente utile (lettera della mandante, richiesta del cliente).
Cosa succede effettivamente quando le forze di polizia ci fermano?
Ce lo ha spiegato in trasmissione l’avvocato penalista Valerio Colapaoli.
Nel momento in cui l’agente di commercio viene fermato per accertare il motivo dello spostamento si aprono tre strade:
1) Il poliziotto chiede giustificazioni all’agente di commercio, gli fa compilare la dichiarazione, lo lascia andare e tutto finisce lì.
2) L’agente di commercio dichiara il falso, cioè riferisce che sta andando da un cliente ma non è vero. Il poliziotto ci crede e lo lascia andare. Ma la veridicità di quanto dichiarato può essere accertata anche successivamente. È ovvio, infatti, che non si possa pretendere che i poliziotti seguano tutti i fermati sino a destinazione. Per questo potrebbe essere richiesto successivamente all’agente di giustificare il suo spostamento nel giorno in cui è stato fermato. A questo punto, visto che l’agente una giustificazione non ce l’ha, incorrerà nelle sanzioni previste dal codice penale sia per i reati di false dichiarazioni (495 cp o più correttamente 483 cp) sia che per quello previsto dal 650 cp, per aver violato un provvedimento dell’Autorità.
3) L’agente dichiara il vero (ad esempio che sta andando da un cliente), ma il poliziotto non ritiene che questo spostamento sia giustificato.
A questo punto il poliziotto inviterà l’agente ad eleggere domicilio e a nominare un avvocato e segnalerà al pm che è stato commesso il reato punito dall’art. 650 cp.
Non verrà assolutamente richiesto, al momento del controllo, di pagare qualcosa. Non è dunque proprio possibile pagare subito – come erroneamente molti audio circolati su whatsapp sostenevano nei giorni scorsi.
Il pm quindi procederà alle indagini e se la notizia di reato verrà ritenuta fondata potrà chiudere le indagini e chiedere la citazione a giudizio dell’agente, ma più probabilmente chiederà direttamente al giudice per le indagini preliminari di emettere un decreto penale di condanna.
Emesso il decreto penale di condanna, questo verrà notificato all’agente e al suo difensore. Dal momento della notifica ci sono 15 giorni per impugnare il decreto.
Con l’opposizione al decreto, l’imputato può scegliere un rito alternativo (patteggiamento, abbreviato) oppure chiedere l’oblazione, mediante la quale si chiede di essere ammessi a pagare una sanzione ridotta. Tale strumento consente di ottenere l’estinzione del reato; inoltre, le pronunce adottate a seguito dell’oblazione, non vengono riportate nel casellario giudiziale.