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Quando il buyer ti chiede una parte della tua provvigione per farti chiudere un ordine con un grosso cliente. Che fare?

Quando il buyer ti chiede una parte della tua provvigione per farti chiudere un ordine con un grosso cliente. Che fare?
Obbiettivo Agenti | 19/07/2019 | 09:40 | aggiornato 23/07/2019 | 11:41
Dopo lunghe e faticose trattative con un grosso cliente del settore GDO per avere un ordine importante, a pochi passi dalla firma il buyer di settore ti chiede - perché tutto vada a buon fine - una parte della provvigione che ti spetterebbe dalla chiusura del contratto. Rigorosamente in nero e senza nulla di scritto. Cosa fare?

Si tratterebbe di corruzione? O concussione? L'agente di commercio rischia qualcosa?
In diretta alle 13:05 risponde l'avvocato penalista Valerio Colapaoli.

Il riassunto della puntata:

Una trattativa disonesta, quando subentra la corruzione tra privati

Luca, plurimandatario nel settore della Grande Distribuzione Organizzata, corteggia da mesi un grande cliente nella sua zona, senza successo. Recentemente, a seguito di alcuni incontri con dei suoi rappresentanti, sembra in procinto di concludere l'importante affare tanto agognato con prodotti di una delle sue mandanti. Tuttavia, a questo punto, il buyer con cui si sta interfacciando in questa trattativa, chiede un “ultimo sforzo”, quantificato in una parte della sua provvigione, da cedergli informalmente, senza nulla di scritto al riguardo. La richiesta ha sconvolto Luca, il quale temendo un illecito e conseguenze spiacevoli, si rifugia in un colloquio con la sua mandante che, sorprendentemente, si dice favorevole all'accordo, proponendo una ripartizione dei compensi tra agente e buyer. Ancora più sulle spine, Luca non sa come agire, vorrebbe una carta scritta dall'azienda e dal buyer che lo tutelasse e rendesse espliciti i termini dell'operazione. Si sente molto tentato dalla proposta, e chiede quindi alla redazione di Obbiettivo Agenti come sarebbe opportuno (e lecito) comportarsi in merito.

In studio, i legali Valerio Colapaoli e Lorenzo Bianchi, l'uno penalista l'altro civilista, affrontano la questione guidati dal conduttore della trasmissione Davide Ricci. Questione spinosa quella descritta dall'ascoltatore, che inevitabilmente richiama fattispecie penali. E infatti Colapaoli ravvisa immediatamente una naturale vicinanza con la corruzione, che nell'immaginario collettivo è legata, non a torto, all'ambiente della Pubblica Amministrazione: questa si configura laddove un pubblico ufficiale, o incaricato di pubblico servizio, accetta denaro o altra utilità, o la promessa di denaro o altra utilità, per omettere o ritardare il compimento di un atto del suo ufficio, ovvero per compiere un atto contrario ai doveri del suo ufficio. In questo caso, si parla di corruzione propria, con pene tra i 6 e i 10 anni di reclusione per il corrotto e per il corruttore, a differenza di quella impropria (punita con pene tra 3 e 8 anni), che è determinata da un pubblico ufficiale che svolga un atto legittimo, compatibile con il suo ufficio, ma dietro dazione di denaro o altra utilità.

Tuttavia, la corruzione esiste anche tra privati, benché con pene minori, in quanto nelle intenzioni del legislatore si legge facilmente la volontà di tutelare maggiormente l'interesse pubblico. Questo determina una maggiore difficoltà nel riconoscere il reato, previsto non solo dal Codice Penale, ma descritto anche dall'articolo 2635 del Codice Civile, nel cui primo comma si menzionano gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla tenuta delle scritture contabili e i sindaci che sollecitano, ricevono o accettano la promessa di denaro o altra utilità a loro non dovuti per compiere un atto che sia contrario ai loro uffici, quindi in violazione ai loro obblighi di fedeltà. La pena prevista oscilla da 1 a 3 anni, raddoppiando qualora si tratti di un'azienda quotata in borsa. Il secondo comma dell'articolo cita inoltre, sanzionandole con una pena inferiore, quelle figure sottoposte a quelle citate precedentemente.

A quest'ultima fattispecie potrebbe essere ricondotta il buyer descritto da Luca. La domanda da porsi ora è: la condotta di questo individuo è lesiva della lealtà che dovrebbe alla sua datrice di lavoro? La sua mansione consiste nel decidere quali prodotti inserire nell'assortimento in vendita e le decisioni che assume dovrebbero essere guidate da criteri quali la qualità e la sostenibilità economica. In studio mancano gli strumenti per comprendere se i prodotti promossi da Luca siano effettivamente i migliori rispetto ai criteri di qualità e prezzo. Se lo fossero, il presunto e aspirante corruttore non violerebbe il principio di lealtà, allontanandosi dalla configurazione del reato.

D'altro canto, dalla narrazione dell'agente, sembrerebbe proprio che il buyer conduca in porto la trattativa in cambio di denaro. Accettare, porterebbe Luca ad essere il corruttore, dunque parimenti responsabile dell'illecito, di fronte alla Legge. E l'aver informato l'azienda non lo libera certo dalla responsabilità in merito, renderebbe solo l'azienda colpevole quanto lui. E quindi, chiosa Colapaoli: “Decisamente, non deporrebbe a suo favore un pezzo di carta con l'ammissione del misfatto da parte del corruttore e dell'azienda corrotta!".

Estranea a queste dinamiche, a prima vista, appare la datrice di lavoro del buyer. Appare, perché potrebbe anche fingere di ignorare la condotta, che potrebbe essere abituale, del suo collaboratore, e trarne vantaggi. Quindi, al suggerimento di Davide di tirare in ballo la proprietà di quest'altra azienda, svelando gli illeciti che il buyer commette contro i suoi interessi, i legali oppongono delle osservazioni. Innanzitutto, Bianchi evidenzia come sia difficile ottenere un colloquio con la proprietà di un gruppo di Grande Distribuzione, specie se straniera. In secondo luogo, Colapaoli suggerisce estrema cautela nel farlo, perché una simile rivelazione dovrebbe essere corredata di prove: in caso contrario condurrebbe facilmente alla diffamazione.

Il consiglio che si leva unanime dallo studio è di uscire da questa trattativa onestamente; Luca potrebbe provare a mantenere l'offerta in piedi con una riduzione di prezzo pari a quella che il buyer ha chiesto in nero, e, vista la disponibilità della mandante a dividere il compenso e a corrispondere una quota delle sue provvigioni al collaboratore dell'azienda cliente, presentare offerta formale anche al buyer corrispondendogli una percentuale delle provvigioni eventualmente maturate. “Si mantenga professionale e non avrà nulla da rimproverarsi” ammonisce l'avvocato Bianchi.


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