La parola “giudizio” viene intesa nella maggior parte dei casi come “critica” e di conseguenza non è di certo un concetto che ci mette troppo a nostro agio. Se usassimo piuttosto la parola “feedback” come sinonimo di giudizio, la questione apparirebbe fin da subito diversa.
Pensiamo a un cliente che ci fornisce un feedback sul prodotto che gli abbiamo venduto oppure sui tempi di consegna o la gestione di una problematica insorta. In questo caso, anche se quanto ci sta dicendo è negativo, allo stesso ci sta fornendo informazioni preziose da passare anche all’azienda in un’ottica di miglioramento e di crescita.
Quando sorge il vero problema e il giudizio diventa un qualcosa che viviamo in maniera negativa?
Quando leghiamo il giudizio alla nostra autostima. Spieghiamoci meglio: l’autostima ci permette di sopportare un giudizio negativo; al tempo stesso non bisogna eccedere in autostima perché in questo caso diventeremmo impermeabili alle critiche e quindi impossibilitati a viverle come eventuali spunti di miglioramento.
Il guaio vero è quando ci identifichiamo, ad esempio, con il prodotto che vendiamo e che il cliente sta criticando. E quindi per trasposizione pensiamo che il cliente stia criticando anche noi come persone. In questo caso tenderemo a chiuderci, a cercare riparo da quel giudizio negativo, correndo il pericolo di far saltare vendite e negoziazioni anche avanzate.
Come possiamo evitare tutto questo? Ce ne parla alle 18:05 il dott. Massimiliano D’Anastasio, ospite a Il Portafoglio.