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Comodo il fisso mensile… se solo fosse pagato!

Comodo il fisso mensile… se solo fosse pagato!
Obbiettivo Agenti | 04/02/2020 | 12:59 | aggiornato 04/02/2020 | 15:38

Il fisso mensile è una sirena allettante per un giovane agente, all'alba della sua vita professionale, che si inserisce in una zona nuova e che non preveda grandi margini di provvigioni. Garantisce la copertura delle spese e una riserva economica fondamentale per avviare l'attività. 

È il caso di Massimiliano, giovane monomandatario che, però, da circa 4 mesi non riceve più quanto pattuito, e vorrebbe recedere per giusta causa temendo però di violare il patto di non concorrenza post contrattuale, ratificato nel suo contratto di agenzia.

Obbiettivo Agenti fornisce qualche ragguaglio all'ascoltatore, avvalendosi della preziosa consulenza degli avvocati Lorenzo Bianchi e Valerio Colapaoli. Appuntamento alle 13:05!

Il riassunto della puntata:

Un giovane agente, all'inizio della sua vita professionale, affacciandosi da monomandatario in una zona nuova e magari con fatturati non stellari, è di certo attirato dalla possibilità di avere un fisso mensile, necessario per coprire le spese e mandare avanti l'attività. Quindi una retribuzione periodica di importo sempre uguale, prestabilito e concordato tra le parti. È la situazione in cui si è venuto a trovare Massimiliano, che però, da circa 4 mesi, non riceve più questo corrispettivo. Ha dunque l'intenzione di chiudere il mandato per giusta causa, ma teme di incappare nel patto di non concorrenza, ratificato sul contratto, nel cominciare a lavorare per un'altra azienda.

Quello di Massimiliano, nello studio di Obbiettivo Agenti è un parere unanime, è un contratto che non presenta punti favorevoli per l'agente e che magari, ipotizza l'avvocato Lorenzo Bianchi ospite insieme al collega Valerio Colapaoli, potrebbe anche celare un anticipo provvigionale. Sì, perché, se pure Massimiliano parla di un fisso, alle volte capita che questa parola celi l'anticipo sulle provvigioni ancora da maturare e che quindi le aziende, ad un certo punto dell'anno, desumendo che il volume degli affari creati dall'agente non copra gli anticipi versati, smettano di versare. Sono due cose molto diverse, ma spesso confuse. La redazione non dispone del contratto firmato, quindi si rimane nel campo delle ipotesi. Come quella per cui questi pagamenti fissi possano essere anticipi sull'indennità di non concorrenza post contrattuale: a quel punto, uscire da questo contratto sarebbe davvero complicato.

Sembra essere un vicolo cieco. È facilmente comprensibile come l'agente si sia fatto allettare dalla promessa di un fisso mensile, necessario soprattutto quando il volume di affari previsto o la novità di un territorio non sia in grado di garantire una provvigione sufficiente. Ma firmare per un monomandato, che porta con sé anche il patto di non concorrenza post contrattuale, se comportasse anche la questione degli anticipi provvigionali, potrebbe aprire lo sguardo ad un possibile abuso della dipendenza economica perpetrato dalla parte più forte, in questo caso l'azienda.

La giurisprudenza ha anche introdotto, recentemente, il reato di estorsione contrattuale, configurabile laddove condizioni estremamente sfavorevoli siano imposte alla parte più debole, in una posizione di dipendenza economica fattuale.

Ma se dimostrare una tale fattispecie sarebbe davvero complicato, se l'ipotesi di Bianchi fosse giusta e il contratto non parlasse di fisso mensile ma di anticipi provvigionali mensili, allora sarebbe sicuramente ravvisabile uno squilibrio eccessivo tra diritti e obblighi: la legge 192 del 1998, all'articolo 9, disciplina l'abuso della dipendenza economica per cui un patto che la realizzasse sarebbe nullo di fronte alla legge.

Tuttavia, il tema della giusta causa per la rescissione è estremamente delicato; e, dando per scontato che Massimiliano ci abbia fornito informazioni precise, e quindi l'azienda sia inadempiente, ciò non è sufficiente perché validamente sia sciolto il contratto di agenzia. L'inadempienza deve essere grave per configurare la giusta causa, e, anche se lo fosse, non porterebbe ad un conseguente scioglimento dal patto di non concorrenza post contrattuale. Il mandato è un contratto, un patto, la clausola che prevede la non concorrenza dopo la fine del mandato è un altro, cui Massimiliano ha aderito. È un obbligo che si materializza nel momento in cui il rapporto cessa, a prescindere da come cessi. E se pure l'ascoltatore riuscisse a recedere per giusta causa, ciò non lo libererebbe da quell'obbligazione che si è assunto. La giusta causa potrebbe essere utile solo se si aprisse un contenzioso, di fronte ad un giudice, sul tema del calcolo dell'indennità: in base al Codice Civile, in aula si terrà conto di questo aspetto.

L'unico spiraglio che potrebbe liberare l'ascoltatore da questo secondo obbligo, potrebbe essere il mancato pagamento della relativa indennità. Se uno dei contraenti non rispetta il patto, automaticamente libera anche l'altro. Un esempio su tutti. L'azienda non paga, potrebbe essere in cattive acque, preludio di un fallimento o di una messa in liquidazione: una volta chiusa, facilmente si comprende come l'ex mandante non sarebbe più un soggetto attivo sul mercato, e quindi non in competizione con altre realtà. E, se pure non fosse in procinto di chiudere ma solo in momentanea difficoltà, potrebbe essere essa stessa a chiedere a Massimiliano di ignorare quella clausola. E Massimiliano, se non fosse nella posizione di aver già trovato un'altra mandante, pretendere il pagamento e l'osservanza del patto.

Un modo per uscire dal vicolo cieco esiste. Il suggerimento dei legali risiede nella consultazione dell'articolo 1754 del Codice Civile e nella “diffida ad adempiere”: l'ascoltatore potrebbe inviare una ingiunzione formale tramite PEC per invitare l'altra parte a rispettare le obbligazioni del contratto finora inosservate, concedendo un termine temporale di solito definito in 15 giorni. Al termine del quale, rimaste inadempiute le obbligazioni, il contratto si intende automaticamente risolto.

A questo punto, due sono gli scenari. L'azienda paga tutto il dovuto, oppure si giustifica con un'altra inadempienza dell'agente; solo una vera consulenza legale, con un avvocato che legga tutte le carte, potrà davvero aiutarlo. Oppure ancora, l'azienda non risponde. E qui, Massimiliano potrebbe inviare una nuova PEC, deducendo la fine del mandato. Non tutto qui, però. Con una terza PEC, l'agente potrebbe chiedere se l'azienda sia interessata o meno al rispetto del patto di non concorrenza, ingiungendo, se interessata, il pagamento del relativo indennizzo entro un limite di tempo definito. Se non ricevesse nulla, sarebbe libero di firmare con qualunque altra mandante, considerando concordemente sciolto anche quest'altro patto (con una quarta PEC).


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