Un agente di commercio italiano firma un contratto con un’azienda estera, ma la mandante non vuole a che saperne di versargli i contributi Enasarco perché sostiene di non esserne tenuta.
Quando l’azienda si rifiuta, come può un agente pretendere i suoi contributi, con tutte le limitazioni del caso, sapendo che l'azienda è sempre la parte più forte del rapporto e che spesso si ha la necessità di un certo rapporto e rinunciarvi è difficile? Come si dovrebbe muovere un agente di commercio?
Ci spiega tutto in trasmissione – alle 13:05 – la dott.ssa Eleonora Verdini, Capo Settore Servizio Affari Legali della Fondazione Enasarco.
Il riassunto della puntata:
Partendo dall'ambito comunitario e andando ad analizzare i documenti, due sono i riferimenti principali da prendere in considerazione per quanto riguarda i versamenti Enasarco a carico di aziende estere che vendono i loro prodotti sul territorio italiano e con il tramite di agenti di commercio italiani: il Regolamento n. 883 del 2004 e il n. 987 del 2009.
Si tratta di regolamenti che pongono una serie di principi fondamentali che permettono di capire quando l'agente è sottoposto alla normativa previdenziale Italiana, e quindi quando deve pagare i contributi Enasarco; il primo e più importante principio è il lex loci laboris: si paga la contribuzione nel luogo dove si svolge l'attività lavorativa. Volendo semplificare, un agente che opera in Italia per conto di una preponente straniera, se l'agente di commercio lavora esclusivamente su territorio Italiano, entrambi sono tenuti a versare i contributi all'Enasarco. L'obbligo ricorre sia se la preponente ha una sede sul territorio nazionale sia se non ce l’ha.
Questo è un aspetto sicuramente da chiarire perché spesso male interpretato.
Il primo comma dell'articolo 2, infatti, fa riferimento alla presenza di una sede aziendale sul territorio nazionale, ma va considerato che il Regolamento poi richiama la normativa comunitaria e internazionale. A tal proposito i Regolamenti comunitari citati stabiliscono che l'obbligo ricorre se si lavora sul territorio nazionale a prescindere dal fatto che la preponente abbia sede o dipendenze in Italia.
I regolamenti stabiliscono anche altri princìpi, che si applicano nel caso in cui l'agente non operi esclusivamente sul territorio di uno Stato, ma operi nel territorio di più Stati. Prendiamo il caso di un agente italiano che lavora sul territorio italiano ma si reca, per esempio, in Francia, per un periodo non superiore a 24 mesi. In questo caso, se l'attività svolta all'estero ha una durata circoscritta e limitata a un periodo inferiore proprio a 24 mesi permane la soggezione alla normativa Italiana e quindi nel nostro caso l'obbligo di iscrizione alla Fondazione Enasarco.
E se l’azienda è indiana, extra UE, e ha una sede in Italia, è tenuta al pagamento dei contributi?
A livello extra europeo i princìpi sono simili, occorre però valutare se esiste una convenzione internazionale in materia di previdenza sociale stipulata tra Italia e il Paese extra UE di riferimento. In assenza di un tale riferimento si applicherà il principio della territorialità, se l'agente quindi opera sul territorio nazionale la preponente è tenuta ad iscrivere l'agente alla Fondazione.