Un quasi comune sentire largamente diffuso tra gli agenti vuole che, spesso e volentieri, il monomandato sia percepito come estremamente limitante. L’impossibilità di affiancare un secondo mandato e una seconda attività in generale rende, a volte, infruttuoso il lavoro stesso a livello economico. In particolare, nei casi in cui non sia previsto un fisso mensile.
Come costruire la strada con la mandante per poter modificare il contratto da monomandatario a plurimandatario? E se di fronte alla spiegazione di serie motivazioni che ne giustifichino la richiesta, l’agente di commercio dovesse vedersi arrivare un bel rifiuto, può essere questa la situazione dalla quale dedurre una disdetta per giusta causa?
Alle 13:05 lo chiediamo agli avvocati Lorenzo Bianchi e Valerio Colapaoli, esperti in Diritto di Agenzia.
Ascolta la puntata in onda sull’app di #RadioAgenti.
Il riassunto della puntata:
“Mai accettare il monomandato! Tanto varrebbe essere un dipendente subordinato!” tuona Paolo via Whatsapp. Quello che dice l’ascoltatore sintetizza un comune sentire largamente diffuso tra gli agenti, dove, spesso e volentieri, il monomandato è percepito come estremamente limitante.
Essere monomandatario significa poter lavorare solo per quel determinato incarico assunto, quindi con un unico mandato di un'unica azienda mandante. Quindi, anche precludersi un'eventuale seconda fonte di guadagno, che possa essere un incarico di procacciamento, un'altra attività imprenditoriale e, ovvio, un altro mandato di agenzia.
Laddove per necessità o ingenuità un agente si trovasse incastrato in un monomandato, e da qui volesse uscire, la strada “dovrebbe essere costruita”, suggerisce l'avvocato Lorenzo Bianchi, perché non esiste un diritto di legge per modificare questo status. Più volte Obbiettivo Agenti ha trattato questo argomento, e il consulente legale della trasmissione ha sempre suggerito approcci votati alla lealtà e alla trasparenza. Anche perché, qualsiasi escamotage opaco, come società intestate a congiunti e così via, oltre ad essere punibile per legge, è anche difficilmente occultabile, ed esporrebbe alla disdetta per giusta causa, con perdita di tutte le indennità.
Da dove parte, dunque, la via di uscita? Parte da un colloquio con l'azienda, in cui l'agente possa evidenziare le difficoltà che derivano dall'avere un'unica fonte di reddito e la maggiore serenità di cui potrebbe godere in una situazione diversa. Serenità che gli consentirebbe di svolgere il proprio lavoro con più energia e motivazione. D'altronde, se l'agente si muove in un mercato fermo, per esempio per la stagionalità dei prodotti o per una particolare congiuntura di quel settore, un lungimirante management aziendale sarebbe in grado di comprendere e fornire il proprio assenso. Tanto più che l'agente potrebbe specificare che si tratterebbe di mandati non in concorrenza, del tutto secondari rispetto a quello che rimarrebbe il principale, in termini di tempo e risorse.
Se invece ci fosse, di fronte a così ragionevoli richieste, una chiusura da parte dei referenti aziendali, che esigono una abnegazione totale al mandato, allora l'agente potrebbe proporre l'istituzione di un fisso mensile, che possa aiutarlo a sostenere sé stesso e le spese che affronta in periodi di zero provvigioni.
Nello studio di Obbiettivo Agenti nessuno, nemmeno i nostri competentissimi esperti, ha la pretesa di fornire un consiglio universale; ognuno conosce la sua storia, il suo lavoro, il proprio mercato di riferimento, e potrebbe quindi dedurre quale possa essere una soluzione ragionevole per questi parametri. Ma, di fronte ad un intransigente no ad ambo le opzioni, probabilmente l'agente potrebbe dedurre la giusta causa per una disdetta. Togliendosi di dosso quello che, più che un mandato, sembra un cappio al collo.